La Turchia blocca Twitter: una guida completa a quello che è successo

turchia ban twitterPer le elezioni amministrative, che si terranno il 30 Marzo prossimo, si comincia a fare sul serio. I più informati dicono che siano pronte altre registrazioni che dovrebbero mettere a nudo ulteriori casi di corruzione tra i membri del governo, e Erdoğan, che sta vivendo una delle fasi politiche più complicate del suo decennio alla guida del paese, reagisce bloccando Twitter nel paese.

Una storia che ha dell’incredibile, e che rimanda ai più lugubri scenari dei regimi più oppressivi del mondo. La notizia del blocco di Twitter rapidamente fatto il giro del mondo, con la popolarità del primo ministro della Repubblica Turca, Recep Tayyip Erdoğan, che è diventato un po’ l’incarnazione di tutti gli incubi dei democratici in patria e all’estero.

Twitter è bloccato, anche se nelle prime 24 ore successive al blocco si è registrato addirittura un aumento di traffico sul popolare social network da parte degli utenti turchi. Che il governo non faccia sul serio? Niente affatto. A 24 ore dal primo ban infatti, arrivano misure ancora più restrittive, e ad oggi è impossibile accedere al social network dei cinguettii senza l’utilizzo di una VPN.

Il primo ban: roba di DNS

Parleremo, semplificando ove possibile, di cosa è avvenuto sotto il profilo tecnico durante le ultime 72 ore. I server DNS sono i centri di smistamento del web: scrivete un indirizzo nel vostro browser e il vostro fido server DNS si preoccuperà, consultando una lista, di tradurlo in numeri comprensibili ai computer.

Il governo Erdoğan, per non saperne né leggere né scrivere, è andato a colpire Twitter proprio lì. Ha imposto ai provider nazionali di interrompere il lavoro dei loro DNS ogni volta che la richiesta da parte dell’abbonato avesse incluso twitter.com.

Una manovra che però non ha fatto ottenere a Erdoğan il risultato sperato. Bastava infatti cambiare i server DNS in locale (in molti hanno utilizzato quelli di Google) per poter accedere senza problemi a Twitter. Una cosa che ha mandato su tutte le furie il governo, mentre eminenti esponenti dell’AKP continuavano a twittare senza problemi, come se l’ordine di chiusura non fosse arrivato dal governo del loro stesso colore.

Erdoğan è però uno tosto, e chi lo conosce sa che il suo successo politico è frutto anche della sua arcinota testardaggine: altro giorno altra misura, e i Turchi sono completamente tagliati fuori da Twitter.

Secondo passo: ban per tutti i DNS di Google e per gli altri indipendenti

Nella mattinata di ieri ci siamo svegliati con l’impossibilità di connetterci a Internet. Era un problema che colpiva solo coloro i quali avevano cominciato ad utilizzare i DNS di Google. Gli IP 8.8.8.8 e 8.8.4.4, che sono quelli dei server in questione, erano stati infatti messi in blacklist da tutti i provider nazionali, ed era diventato di fatto impossibile navigare senza utilizzare i DNS dei provider turchi.

Su Twitter e su Facebook si è scatenato il caos: sono cominciate a spuntare liste di ogni genere, contenenti liste di server DNS che, uno dopo l’altro, sono stati messi al bando da nuovi interventi sull’infrastruttura di rete turca.

Si arriva alla sera di Sabato ed è di fatto impossibile accedere a Twitter dalla Turchia, se non utilizzando una VPN.

Tecnologia omnia vincit: con una VPN si entra uguale

Rimane un ultimo baluardo a difesa della libertà di espressione di chi risiede in Turchia: la VPN. Si tratta di una connessione via tunnel che permette, almeno per il momento, ai turchi di accedere a tutti i siti banditi dal governo. Si tratta però di una soluzione non adatta a tutti, dato che di servizi VPN gratuiti non ce ne sono poi molti, e tra quei pochi sono in realtà molti a ledere la privacy degli utenti e la sicurezza dei loro dati.

Un ordine dato da chi?

La tempistica del ban è decisamente curiosa. Arriva nella notte, al termine di una costosissima campagna organizzata dall’AKP proprio su Twitter, a sostegno del candidato sindaco di Ankara Melih Gökçek, il satrapo che governa indisturbato nella capitale da più di 10 anni.

Esaurita la campagna è partito il ban, e fin qui di strano ci sarebbe davvero poco. Quello che è curioso e che l’Authority che si occupa dell’inserimento in blacklist dei siti “illegali” nella mattinata seguente ha negato ogni coinvolgimento, dicendo che non era arrivato ordine da nessuno, perlomeno nei modi conformi alle norme di legge, per inserire Twitter nella lista della vergogna.

Chi ha dato l’ordine? Come si può bloccare un sito internet senza seguire la procedura indicata dalla legge?

Non muore Twitter, ma lo stato di diritto

Twitter è il dito. La luna è lo stato di diritto. Se fosse confermata l’illegalità dell’operazione saremmo davanti all’ennesimo schiaffo allo stato di diritto, uno stato di diritto piegato ai voleri di un governo in estrema difficoltà dopo la rottura con l’ex partner Fethullah Gülen, una guida religiosa che vive in auto-esilio in Pennsylvania e che ha recentemente dichiarato guerra al primo ministro in carica.

Una lotta fratricida, che vede coinvolte le istanze più conservatrici della Turchia e che lascerà parecchi cadaveri sul campo. Il primo? Lo stato di diritto, e anche la libertà di parola non se la sta passando poi così bene.

Anatolia paranoica

Sono giorni surreali questi che ci stanno portando al 30 Marzo, il giorno in cui l’AKP si giocherà l’amministrazione delle più importanti città della Turchia. Una paranoia che, a voler pensar male, è il segno più evidente di un governo in estrema difficoltà, che sa di avere molto da perdere e molto da nascondere.

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