Yankı, che la terra ti sia lieve

yankiFino a quando non capita a te non ci credi, cioè: non credi che possa accadere a te, non è che credi non possa accadere nel mondo.

E poi, invero, accade. Accade e ti accorgi di quanto il mondo sia piccolo, di quanto il mondo sia malato e di quanto il mondo possa perforare la corazza d’indifferenza che ognuno di noi – chi più chi meno – si porta cucita addosso.

Yankı e’ morta. Yankı e’ stata ammazzata ieri notte. Yankı ha recitato il quinto atto della sua vita ed Emirgan, elegante quartiere sul Bosforo, ha fatto da palcoscenico. E forse è inutile che io scriva questo articolo perchè nemmeno con tutte le parole del mondo Yankı ci sarà data, ma tant’è.

Il fatto che Yankı fosse – ah, quanto è dura non usare il presente! – un’importante manager di una nota multinazionale, per me, non ha importanza; anche se, lo so, e’ questo che muove e centrifuga la notizia sui giornali turchi, curiosi di aver perso un personaggio a la page.

Yankı, 42 anni, e una vita intensa alle spalle. Non è facile la vita per una donna in Turchia. Ma in Italia lo è? E altrove? Se è vero che il velo può essere considerato un termometro rivelatore per misurare l’islamofobia di un paese, nei paesi occidentali le donne possono considerarsi libere?

Basta scoprirsi la testa per esserlo? Bastano le quote rosa in parlamento o una foto con il premier di turno per essere definıte “alla pari”? E tutta questa mercificazione del corpo femminile nei media o da parte dei gruppi LTGB non è pari alla violenza di quelli che vogliono negare alla donna di avere un corpo?

Un corpo. Che parola strana, eh. Per non parlare della testa. E chissa’ perche’ della testa della donna si parla solo o quasi quando e’ velata.

Tu, Yankı, una testa ce l’avevi. Sennò non avresti fatto tutta quella strada. Una strada in perenne salita: sia nella vita lavorativa sia in quella privata. Un primo matrimonio alle spalle, con un marito europeo che come una sanguisuga ti aveva prosciugata e ti aveva chiesto persino una buonauscita per la fine della vostra relazione. Succede. La democrazia del maschio non ha confini. E poi una nuova storia. Un nuovo amore. Una nuova vita. Tutto finito, da ieri sera.

Ieri sera, quando il padre di tuo marito ha deciso che dovevi morire. Dovevi morire perché avevi espresso la tua solidarietà a un’altra donna. Alla moglie della persona che ti ha ucciso. Un dramma famigliare come tanti; ottimo, magari per una soap in tv. Se non fosse che tu non sei un’attrice e questa e’ la realtà che supera la fantasia.

Qualcun’altro proverà a spiegare che questo attacco di pazzia e’ dovuto a un raptus, io no. Qualcun’altro poi indagherà sul fatto che il padre di tuo marito soffriva di depressione e la moglie non ce la faceva più e ti aveva chiesto aiuto, io no.

Qualcun’altro infine cerchera’ di capire e ricostruirà la scena in cui tu cadi a terra colpita dai proiettili e a nulla vale la corsa in ospedale e la rianimazione, io no. Io non posso. Le parole mi schiacciano davanti alla loro inutilità: tu non tornerai.

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1 Commento

  1. “tutta questa mercificazione del corpo femminile nei media o da parte dei gruppi LTGB non è pari alla violenza di quelli che vogliono negare alla donna di avere un corpo?”

    No, non lo è perchè se la figlia della velina vuole fare qualcosa di diverso la famiglia non la ripudia.
    e una donna che vive il suo corpo in una maniera che a noi non piace va rispettata lo stesso nella sua libertà, tutta la cosa della “mercificazione” per me è da rivedere, secondo me è una teoria che ci impedisce di capire bene e toglie soggettività alle donne

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